Serie di ritratti «Get Going!» 2019
La ricerca dell’identità è la sua forza creativa trainante. Grazie a essa Jessica Plattner, alias Jessiquoi, crea un’opera d’arte audiovisiva totale. «Una fucina di idee», così si definisce la trentunenne di Berna. Grazie al contributo Get Going!, nessun ostacolo si frappone più al raggiungimento dei suoi obiettivi.
«Quando sarò grande, mi piacerebbe avere un pianoforte a coda da suonare sul palco», rivela Jessica Plattner, ridendo per l’espressione scelta. La trentunenne è ovviamente cresciuta da tempo, ma da questa affermazione emerge come lei si consideri ancora un’artista su un percorso di sviluppo tutt’altro che concluso. E questo nonostante sia annoverata tra le performer più impressionanti di tutta la Svizzera nei panni del suo alter ego Jessiquoi. Oltre a comporre, Jessica si occupa anche personalmente della produzione. Gestisce anche l’aspetto visivo, creando incessantemente mondi fantastici in cui reinventa e ridefinisce costantemente se stessa con l’aiuto di paesaggi sonori elettronici a volte grezzi e a volte fini.
«Per me l’identità è qualcosa di fluido», sostiene Jessica e cita la drag queen Ru Paul: «You’re born naked. The rest is drag». Aggiunge poi: «Penso che ogni persona sia libera di reinventarsi. Non occorrono giustificazioni per volgere la propria vita in una direzione completamente nuova. È come in un videogioco, dove ognuno può scegliere il proprio avatar».
La ricerca dell’identità come forza creativa trainante: nel caso di Jessica è anche il risultato della sua straordinaria biografia. Originaria di Berna, è emigrata in Australia con la sua famiglia poco dopo la nascita. Quando era adolescente, a suo padre è stato offerto un lavoro presso il Conservatorio di Berna e la famiglia si è trasferita nuovamente in Svizzera. Questo evento ha dato una svolta alla vita della giovane Jessica, che desiderava diventare una ballerina professionista e aveva già intrapreso il necessario percorso di formazione a Sydney. Inoltre i Plattner parlavano esclusivamente inglese a casa. «Se avessi voluto continuare la mia carriera di ballerina, sarei dovuta recarmi a Rotterdam o a Berlino. Ma volevo restare con la mia famiglia», confida. «A Berna, inizialmente, avevo la sensazione di essere una straniera e mi sentivo esclusa. Solo quando ho iniziato a parlare tedesco bernese sono diventati tutti improvvisamente gentili». Imparare la lingua le è risultato facile, il suo insegnante di tedesco la aveva perfino soprannominata «tape recorder», «perché riuscivo a riprodurre tutto perfettamente», ricorda Jessica ridendo.
Ormai privata della danza, la ricerca della propria identità in questa patria straniera è sfociata nella musica. «Avevamo sempre avuto un pianoforte a casa, ma non l’avevo mai toccato prima. Avevo seguito solo qualche lezione, ma era stato terribile. Tuttavia, improvvisamente mi sono trovata a lavorare ai miei brani personali ogni giorno», così descrive i suoi esordi musicali.
Poi, come se la perdita del suo ambiente abituale non fosse stata un’esperienza sufficientemente amara, sette anni fa il destino ha inferto a Jessica il più duro colpo che si possa forse immaginare. Suo fratello, di due anni più giovane di lei, è deceduto. «Condividevamo tutto e da fuori ci scambiavano spesso per gemelli», rivela e racconta di come sia stato proprio il fratello a far sbocciare la sua passione per il mondo dei videogiochi e delle colonne sonore dei film.
È esattamente lì, in quei mondi dove chiunque può reinventarsi, che Jessica ha trovato la sua nuova patria come Jessiquoi. «Si potrebbe pensare che Jessiquoi sia un personaggio di fantasia, ma in realtà è solo una versione diversa di me», spiega e aggiunge: «Il personaggio può anche spaventare, perché Jessiquoi non si muove all’interno del nostro sistema fisso di chiari ruoli di genere e identità nazionali».
Adesso nei suoi album racconta proprio di questi mondi stranieri, dove le valli sono contaminate e la gente si rifugia sulle cime delle montagne e dove i piloti sono in grado di volare verso una vita migliore. Sul palcoscenico mette in pratica questa esistenza alternativa completamente da sola. Con la centrale di comando per gli effetti visivi e gli strumenti elettronici allestiti su un carretto di legno, Jessiquoi, come una sovrana assoluta, regna a suon di danza sul palcoscenico, un luogo di autodeterminazione e di costante riposizionamento. Jessiquoi crea un’opera d’arte totale che colpisce per la sua natura intransigente e con la quale ha già suscitato forte entusiasmo anche a Siviglia e a New York.
Il carretto di legno o, come lo chiama lei, il «Wägeli» è un rimando alla cultura cinese, con la quale ha una forte affinità, così come l’arpa cinese che suona dal vivo. «Alla scuola di lingue una mia amica cinese mi ha fatto appassionare alla sua cultura. Una volta, quando ero in Cina (a Shanghai, alle tre del mattino), volevo mangiare qualcosa quando ho visto un’anziana signora che cucinava sul suo carretto di legno. Un vecchio carretto nel bel mezzo di una metropoli: un’immagine che non mi ha mai abbandonato. Volevo essere io quella donna», racconta sorridendo.
Jessica considera l’autodeterminazione senza se e senza ma e la libertà di mantenere il proprio io allo stato fluido elementi necessari per la propria arte. «Credo che il compito principale degli artisti sia sognare il futuro della nostra civiltà o mostrarlo sotto una nuova luce, perché registrano, analizzano, criticano e riformulano il mondo e le persone che li circondano».
Grazie al contributo Get Going!, nessun ostacolo si frappone più a questo entusiasmante sviluppo. «Ho dovuto finanziarmi attraverso i concerti e il tempo per lavorare a nuovi brani ne ha risentito. Ora ho ottenuto il mio budget annuale in un solo colpo», dichiara raggiante. La meta finale di questo viaggio resta avvolta nel mistero: «Non so che tipo di musica creerò domani. Nascerà spontaneamente. Ma non permetterò mai a nessuno di impormi come suonare per motivi strategici di mercato. Sto lavorando alla mia identità. Io. E io soltanto».
Rudolf Amstutz